Il Declino degli dèi


Il Declino degli dèi 
romanzo storico di Gerardo Passannante

Il declino degli dèi è un ampio romanzo storico incentrato sulla figura di Giuliano l’Apostata, che intende offrire un affresco del periodo tra il terzo e il quarto secolo, quando il cristianesimo, dopo l’ultima persecuzione, si avvia a diventare la più importante religione dell’impero romano.

La narrazione parte proprio dagli estremi sussulti del mondo pagano, allorché la crisi di una civiltà millenaria si è fatta così profonda, che invano un grandioso personaggio come Diocleziano si ingegna ad arginarla con l’ultimo massacro. Ma è solo una questione di anni: poiché nel 313 un altro formidabile quanto ambiguissimo imperatore, Costantino, con l’editto di Milano mette fine definitivamente all’incubo delle persecuzioni. 

Da allora la scalata del Cristianesimo a religione di Stato procede trionfale, se si esclude la breve battuta d’arresto dei due anni in cui è imperatore Giuliano. A lui si deve infatti il più convinto tentativo di frenarne l’ascesa, per salvare il razionalismo greco-romano dalla fiumana del dogma. Ma colui che i cristiani stigmatizzeranno come “Apostata”, fino a stendere sul suo nome un’abortita damnatio memoriae, non porta a compimento l’opera che avrebbe cambiato la faccia del mondo, perché viene fermato, a soli trentadue anni, da una lancia “provvidenzialmente” scagliata da un soldato del suo stesso esercito, quasi certamente un cristiano. 

È intorno alle tre grandi figure di Diocleziano, Costantino e Giuliano che si srotola quindi il racconto, nel rispetto sostanziale di una “verità” storica attinta a una documentazione di prima mano. Ma intorno a loro si muove tutta una folla di personaggi, che consentono al romanzo di spaziare dal chiuso dei conflitti interiori ai vasti scenari della Mesopotamia o della Cappadocia. Sullo sfondo di paesaggi esotici, ecco allora avvicendarsi intrighi e delitti, atti d’amore e di sangue, bilanciamenti del cuore e strategie di religione e politica, miscugli di purezza e crudeltà. E le tortuose deliberazioni dei regnanti scandiscono la processione dei martiri per la fede, nei cui atti si colgono le ragioni, prima della persecuzione e poi del trionfo del cristianesimo. La narrazione ricostruisce inoltre il clima delle sottili dispute dottrinali, soffermandosi soprattutto su quel formidabile scossone che fu l’arianesimo; mentre, sotto l’incalzare di popoli e culti inconsueti, si svolge la tragedia muta di generazioni travolte dal grande fiume della Storia, che non ha pietà per nessuno, e scorre indifferente verso una foce, refrattaria a qualsiasi progetto.
La scena del romanzo è quella, mai pacificata, delle aree perennemente martoriate dei Balcani e del Medio Oriente, della Palestina come della Siria, del Libano, dell’Iran, dell’Iraq. Dove il tamburo della guerra è sempre in agguato,, per il connubio di una duplice violenza: quella esercitata da una tradizione che imbriglia la volontà; e l’altra, figlia della seduzione di una parola assoluta che inviti al sacrificio. Letto in quest’ottica, il caleidoscopio del quarto secolo ci è tremendamente vicino, e offre sorprendenti analogie col mondo d’oggi. Né manca di sollecitare le coscienze a sospettare del bacillo che mina ogni civiltà, quando l’arroganza del potere e l’ingiustizia sociale favoriscono l’esplosione di un fanatismo che pericolosamente travalica gli orizzonti degli uomini, contro cui si smorza ogni appello alla ragione. 

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